Intervista su Dammi Spazio, il blog A.Ghiraldo

[uno] "Scrivo dunque sono" o "scrivo dunque pubblico"? …se mai c'è un senso in queste frasi fatte! 

Scrivo per vederci meglio e pubblico per farmi dire che cosa ho visto.

[due] Cosa significa per te "avere spazio"?

 Dormire la notte, non sentire il letto scappare da sotto al culo. Avere piedi e mani per andare da qualche parte.

[tre] Perché uno dovrebbe leggere le cose che scrivi? 

Per il gusto del ballo, quello che ti prende mentre ti rendi conto di essere stato troppo tempo a bordo pista e decidi che è il momento di fare una cazzata.

[quattro] Cosa stai leggendo in questi giorni? 

Una cartina topografica di Torino e le insegne dei bar che trovo per strada. Sto provando a sedurla, Torino, per vedere che cosa ha da concedermi. Ogni volta che arrivo in una città nuova inizia il corteggiamento. Vedremo se sarà all'altezza della mia ultima geisha: Genova. 

Intervista su Lankelot G.Franchi

 

G.F. “Beccacini è un narratore di genere, o un narratore che esordisce con un libro di genere?”

F.B. “Io credo che un narratore sia semplicemente uno che racconta delle storie. A volte le storie possono rientrare in un genere e a volte no. A volte entri in una stanza e immagini che lì ci sia stato un omicidio, che il fermacarte sulla scrivania è servito a ben altro che a tener ferme le fatture, allora scrivi un giallo. Altre volte invece ti siedi e ti fumi una sigaretta, o racconti la tua vita. Non è forse così importante”.

 

G.F. “Può esistere un lettore ideale del suo romanzo? Scrivendo ha forse immaginato un destinatario ideale? O ritiene altrimenti che non si debba parlare di lettore ideale per la narrativa, o almeno per la sua narrativa?”

F.B. “È difficile scrivere per un lettore ideale a meno di non voler fare un’operazione puramente commerciale. In genere il percorso è inverso: è il lettore che ‘decide’, dall’odore, a naso, il suo libro ideale”.

 

G.F. “Nel suo romanzo si avverte una grande umanità e una grande desolazione: nei momenti di maggior decadenza, si ha la sensazione che i personaggi vivano ai margini del sistema, isolati; ma che non sia questa ragione di orgoglio, ma di malessere. È d’accordo?”

F.B. “Senza il minimo dubbio. I personaggi di Via del Campo vivono ai margini del sistema perché sono alle strette. Perché qualcosa che nella loro vita è andato storto. Non perché l’hanno scelto”.

 

G.F. “Quanto incide il desiderio di provocare, di evitare dogmi, stilemi e dettami della letteratura ‘alta’, nella sua creatività?”

F.B. “Direi poco o niente. Quando succede è un fatto puramente istintivo”.

 

G.F. “Si registra, in “Via del Campo”, una certa attenzione ai marchi: vengono nominati, tra gli altri, Martini, Lucky Strike, Levis, Nutella, Volvo, Zoppas, J & B. Non sempre sembra che l’intento sia ludico o critico: quali erano le sue intenzioni? Si è trattato di una coincidenza, di una denuncia, di una provocazione?”

F.B. “I marchi stanno cannibalizzando ogni angolo delle nostre città. Anche nella desolazione dei vicoli di Genova riescono a mostrare i denti e ad essere sempre in vista. Comunque la mia non voleva essere una critica diretta, semmai mostrare le cose per stimolare una riflessione…”

 

G.F. “Questa è una domanda che rivolgiamo ad ogni autore. Avviene raramente, e proprio per questo è più apprezzabile, che un artista ammetta e riveli le sue affinità elettive. Confidiamo nella sua onestà intellettuale: quali scrittori riconosce come suoi antecedenti, o quali sente più vicini alla sua narrativa?”

F.B. “Sono onnivoro, leggo di tutto. Da Hemingway a Biamonti, da Ellroy a Ellis. Gli scrittori che apprezzo sono quelli che leggo. Non so a chi assomiglio, non è compito mio dirlo. So solo a chi vorrei assomigliare. Se proprio devo fare qualche nome credo di dovere qualchecosa a Lucarelli, a Chandler, a Soriano. Fatte le debite distanze, per carità! Ma forse devo ancora di più a Genova. È una città che mi ha cambiato profondamente”.

 

G.F. “Come giudica il panorama letterario italiano contemporaneo? Avverte l’assenza di un movimento di riferimento o di artisti carismatici, o crede invece che questa assenza sia fondamentale per permettere a nuovi autori di emergere?”

F.B. “Gli scrittori buoni ci sono, purtroppo è difficile trovarli in mezzo a libri della Nutella e spazzatura di vario genere. Il fatto è che c’è poco ricambio. Credo che su questo punto Giulio Mozzi abbia visto giusto. ‘Negli anni novanta tutti gli editori erano in cerca di scrittori giovani. Oggi gli scrittori giovani ci sono già e costituiscono un blocco di potere’. Anche nell’editoria ci sono delle ‘fasi’. E nelle fasi di consolidamento del ‘potere’ è sicuramente più difficile inserirsi”.

 

G.F. “Qual è, o quale le sembra potrà essere, l’influenza della rete sull’editoria italiana? Crede che la rete potrà rivitalizzare la nostra stanca e statica editoria?”

F.B. “La rete potrà solo essere uno strumento per rivitalizzare l’editoria. Da sola non può nulla e  serve maggiore interesse da parte delle grandi case editrici. Comunque i numeri parlano chiaro, sempre più utenti uguale sempre maggiore visibilità e potenzialità. Ma ci vorrà un po’ di tempo per fare chiarezza nel marasma di internet”.

 

G.F. “Concluda con un saluto ai suoi lettori”.

F.B. “Un grazie davvero sincero ai miei lettori e agli amici di Lankelot. Il sostegno che sto ricevendo è la cosa più bella. Aggiungo un altro grazie per il curatore della recensione e dell’intervista, Franchi, una persona seria e costruttiva. Ciao, Fabio B.”.

 

INTERVISTA SU PAUSA LIBRO - M.Milone

• Ho conosciuto la tua scrittura tramite “Il foglio letterario” n.23. Lessi lì il tuo racconto “Precise puttane”. Mi colpì subito per il suo ritmo incalzante, lo stile asciutto e il tono colloquiale che usavi. Un’ottima prova per un esordiente.
Precise puttane è un lampo che torna nella memoria della Genova periferica, quella che frequentavo forzato dai lunghi spostamenti in autobus, dalla mia vecchia casa di via Napoli all’università di architettura. È un paesaggio anch’esso scarno, asciutto. Avevo tutto il tempo di osservarlo, e di osservare la varia umanità che transitava sulle corriere. C’era di che pensare.

• Rileggendo i tuoi racconti, ripenso subito alla prosa di Alda Teodorani e di Nicola Lombardi.
Mi citi dei narratori di sicuro mestiere. È un complimento che apprezzo. È gente con storie solide. Che non mette lo stile avanti al contenuto. Il pretesto da cui parto è: io non sono nessuno. E nessuno deve starmi ad ascoltare se non ho qualcosa di interessante da raccontare. Questo mi spinge a cercare di non essere mai banale. quando invece ci si sente uno scrittore con la s maiuscola si rischia di essere tutto stile e niente arrosto.

• Nel 2003 hai pubblicato il tuo primo romanzo “Via del campo”, una narrazione che ho trovato meno matura rispetto ai tuoi racconti. Ritengo infatti che il tuo stile sia più adatto a narrazioni breve. Nel romanzo, invece, le eccessive unità narrative e lo stile ai limiti di un ritmo eccessivo, secondo me, appesantiscono la lettura e distolgono l’attenzione del lettore.
Dal punto di vista cronologico hai senz’altro ragione. Precise Puttane è un racconto del 2003 pubblicato nel 2004 e Via del campo un romanzo breve del 2000 edito nel 2003. Quindi se c’è stata un’evoluzione nella mia scrittura perlomeno non ha avuto la misura del gambero. Non saprei dire se il mio stile sia più congeniale al racconto piuttosto che al romanzo. In realtà anche nelle mie storie lunghe ricorro spesso alla coralità della narrazione. I tempi lunghi li frantumo in una serie di microstorie parallele ed alternate. C’è una sorta di sotteso linguaggio cinematografico.

• Hai qualche progetto imminente?
Certo. Lo stile del cane, il mio secondo romanzo, un giallo ambientato sotto la Mole è già pronto ed è in lettura presso varie case editrici, dati i riscontri positivi conto di riuscirlo a pubblicare entro la prima metà del 2006. nel frattempo sto portando avanti un altro paio di storie, una ambientata nell’entroterra del ponente ligure e l’altra tra riviera dei fiori e costa azzurra. Come dice il mio amico scrittore Marco Vallarino continuo ad annerire i puntini dell’italia nera.

• Ormai tu hai stretto rapporti di collaborazione sia con la rivista che con la casa editrice “Il foglio edizioni”. Quali sono i tuoi compiti?
Principalmente sono il direttore della collana Giallo & Nero, da me fondata. Una collana che al momento conta due titoli di qualità e ha in cantiere per il 2006 delle gustose sorprese. Per prima, presumibilmente a maggio al salone del libro di torino, la presentazione di un antologia giallo-noir della città delle olimpiadi: Torinoir.

• Dalla tua posizione di osservatore privilegiato, che cosa pensi della letteratura italiana contemporanea?
È una domanda difficile. Diciamo che penso male di una parte del mondo editoriale italiano. Se così mi si concede di eludere la questione. Non credo che manchino i buoni narratori nella penisola. Certo sì, spesso le leggi di mercato, e non scordiamolo, una grande miopia nella domanda di narrativa, rischiano di chiudere troppe porte in faccia alle nuove leve.

• Nel 2004 hai pubblicato il racconto “Osteria della mezzaluna” sull’antologia “Dammi spazio”. Sicuramente questa non è la prima antologia manifesto (“Under 25”, “Disertori”, “Gioventù Cannibale”, “Anticorpi”, “Gli intemperanti”) e non sarà l’ultima. Pensi che queste antologie possano dare un significativo contributo letterario?
Se curate bene sì. Come Dammi Spazio e come l’ultima antologia in cui mi sono imbarcato, Semi di Fico d’India, edita da Nuova Dimensione (2005) dove sono in compagnia di autori del calibro di Morozzi, Buonanno, La Gioia, Mazzucato e tanti altri.