G.F. “Beccacini è un narratore di
genere, o un narratore che
esordisce con un libro di genere?”
F.B.
“Io credo
che un narratore sia semplicemente
uno che racconta delle storie. A
volte le storie possono rientrare
in un genere e a volte no. A volte
entri in una stanza e immagini che
lì ci sia stato un omicidio, che
il fermacarte sulla scrivania è
servito a ben altro che a tener
ferme le fatture, allora scrivi un
giallo. Altre volte invece ti
siedi e ti fumi una sigaretta, o
racconti la tua vita. Non è forse
così importante”.
G.F. “Può esistere un lettore
ideale del suo romanzo? Scrivendo
ha forse immaginato un
destinatario ideale? O ritiene
altrimenti che non si debba
parlare di lettore ideale per la
narrativa, o almeno per la sua
narrativa?”
F.B. “È
difficile scrivere per un lettore
ideale a meno di non voler fare
un’operazione puramente
commerciale. In genere il percorso
è inverso: è il lettore che ‘decide’,
dall’odore, a naso, il suo libro
ideale”.
G.F. “Nel suo romanzo si avverte
una grande umanità e una grande
desolazione: nei momenti di
maggior decadenza, si ha la
sensazione che i personaggi vivano
ai margini del sistema, isolati;
ma che non sia questa ragione di
orgoglio, ma di malessere. È
d’accordo?”
F.B. “Senza
il minimo dubbio. I personaggi di
Via del Campo vivono ai margini
del sistema perché sono alle
strette. Perché qualcosa che nella
loro vita è andato storto. Non
perché l’hanno scelto”.
G.F. “Quanto incide il desiderio
di provocare, di evitare dogmi,
stilemi e dettami della
letteratura ‘alta’, nella sua
creatività?”
F.B. “Direi
poco o niente. Quando succede è un
fatto puramente istintivo”.
G.F. “Si registra, in “Via del
Campo”, una certa attenzione ai
marchi: vengono nominati, tra gli
altri, Martini, Lucky Strike,
Levis, Nutella, Volvo, Zoppas, J &
B. Non sempre sembra che l’intento
sia ludico o critico: quali erano
le sue intenzioni? Si è trattato
di una coincidenza, di una
denuncia, di una provocazione?”
F.B. “I
marchi stanno cannibalizzando ogni
angolo delle nostre città. Anche
nella desolazione dei vicoli di
Genova riescono a mostrare i denti
e ad essere sempre in vista.
Comunque la mia non voleva essere
una critica diretta, semmai
mostrare le cose per stimolare una
riflessione…”
G.F. “Questa è una domanda che
rivolgiamo ad ogni autore. Avviene
raramente, e proprio per questo è
più apprezzabile, che un artista
ammetta e riveli le sue affinità
elettive. Confidiamo nella sua
onestà intellettuale: quali
scrittori riconosce come suoi
antecedenti, o quali sente più
vicini alla sua narrativa?”
F.B. “Sono
onnivoro, leggo di tutto. Da
Hemingway a Biamonti, da Ellroy a
Ellis. Gli scrittori che apprezzo
sono quelli che leggo. Non so a
chi assomiglio, non è compito mio
dirlo. So solo a chi vorrei
assomigliare. Se proprio devo fare
qualche nome credo di dovere
qualchecosa a Lucarelli, a
Chandler, a Soriano. Fatte le
debite distanze, per carità! Ma
forse devo ancora di più a Genova.
È una città che mi ha cambiato
profondamente”.
G.F. “Come giudica il panorama
letterario italiano contemporaneo?
Avverte l’assenza di un movimento
di riferimento o di artisti
carismatici, o crede invece che
questa assenza sia fondamentale
per permettere a nuovi autori di
emergere?”
F.B.
“Gli
scrittori buoni ci sono, purtroppo
è difficile trovarli in mezzo a
libri della Nutella e spazzatura
di vario genere. Il fatto è che
c’è poco ricambio. Credo che su
questo punto Giulio Mozzi abbia
visto giusto. ‘Negli anni novanta
tutti gli editori erano in cerca
di scrittori giovani. Oggi gli
scrittori giovani ci sono già e
costituiscono un blocco di potere’.
Anche nell’editoria ci sono delle
‘fasi’. E nelle fasi di
consolidamento del ‘potere’ è
sicuramente più difficile
inserirsi”.
G.F. “Qual è, o quale le sembra
potrà essere, l’influenza della
rete sull’editoria italiana? Crede
che la rete potrà rivitalizzare la
nostra stanca e statica editoria?”
F.B. “La
rete potrà solo essere uno
strumento per rivitalizzare
l’editoria. Da sola non può nulla
e serve maggiore interesse
da parte delle grandi case
editrici. Comunque i numeri
parlano chiaro, sempre più utenti
uguale sempre maggiore visibilità
e potenzialità. Ma ci vorrà un po’
di tempo per fare chiarezza nel
marasma di internet”.
G.F. “Concluda con un saluto ai
suoi lettori”.
F.B. “Un
grazie davvero sincero ai miei
lettori e agli amici di Lankelot.
Il sostegno che sto ricevendo è la
cosa più bella. Aggiungo un altro
grazie per il curatore della
recensione e dell’intervista,
Franchi, una persona seria e
costruttiva. Ciao, Fabio B.”.
INTERVISTA SU PAUSA LIBRO -
M.Milone
• Ho
conosciuto la tua scrittura
tramite “Il foglio letterario” n.23.
Lessi lì il tuo racconto “Precise
puttane”. Mi colpì subito per il
suo ritmo incalzante, lo stile
asciutto e il tono colloquiale che
usavi. Un’ottima prova per un
esordiente.
• Precise puttane è un lampo
che torna nella memoria della
Genova periferica, quella che
frequentavo forzato dai lunghi
spostamenti in autobus, dalla mia
vecchia casa di via Napoli
all’università di architettura. È
un paesaggio anch’esso scarno,
asciutto. Avevo tutto il tempo di
osservarlo, e di osservare la
varia umanità che transitava sulle
corriere. C’era di che pensare.
• Rileggendo i tuoi racconti,
ripenso subito alla prosa di Alda
Teodorani e di Nicola Lombardi.
• Mi citi dei narratori di
sicuro mestiere. È un complimento
che apprezzo. È gente con storie
solide. Che non mette lo stile
avanti al contenuto. Il pretesto
da cui parto è: io non sono
nessuno. E nessuno deve starmi ad
ascoltare se non ho qualcosa di
interessante da raccontare. Questo
mi spinge a cercare di non essere
mai banale. quando invece ci si
sente uno scrittore con la s
maiuscola si rischia di essere
tutto stile e niente arrosto.
• Nel 2003 hai pubblicato il tuo
primo romanzo “Via del campo”, una
narrazione che ho trovato meno
matura rispetto ai tuoi racconti.
Ritengo infatti che il tuo stile
sia più adatto a narrazioni breve.
Nel romanzo, invece, le eccessive
unità narrative e lo stile ai
limiti di un ritmo eccessivo,
secondo me, appesantiscono la
lettura e distolgono l’attenzione
del lettore.
• Dal punto di vista
cronologico hai senz’altro
ragione. Precise Puttane è un
racconto del 2003 pubblicato nel
2004 e Via del campo un romanzo
breve del 2000 edito nel 2003.
Quindi se c’è stata un’evoluzione
nella mia scrittura perlomeno non
ha avuto la misura del gambero.
Non saprei dire se il mio stile
sia più congeniale al racconto
piuttosto che al romanzo. In
realtà anche nelle mie storie
lunghe ricorro spesso alla
coralità della narrazione. I tempi
lunghi li frantumo in una serie di
microstorie parallele ed
alternate. C’è una sorta di
sotteso linguaggio
cinematografico.
• Hai qualche progetto imminente?
• Certo. Lo stile del cane, il
mio secondo romanzo, un giallo
ambientato sotto la Mole è già
pronto ed è in lettura presso
varie case editrici, dati i
riscontri positivi conto di
riuscirlo a pubblicare entro la
prima metà del 2006. nel frattempo
sto portando avanti un altro paio
di storie, una ambientata
nell’entroterra del ponente ligure
e l’altra tra riviera dei fiori e
costa azzurra. Come dice il mio
amico scrittore Marco Vallarino
continuo ad annerire i puntini
dell’italia nera.
• Ormai tu hai stretto rapporti di
collaborazione sia con la rivista
che con la casa editrice “Il
foglio edizioni”. Quali sono i
tuoi compiti?
• Principalmente sono il
direttore della collana Giallo &
Nero, da me fondata. Una collana
che al momento conta due titoli di
qualità e ha in cantiere per il
2006 delle gustose sorprese. Per
prima, presumibilmente a maggio al
salone del libro di torino, la
presentazione di un antologia
giallo-noir della città delle
olimpiadi: Torinoir.
• Dalla tua posizione di
osservatore privilegiato, che cosa
pensi della letteratura italiana
contemporanea?
• È una domanda difficile.
Diciamo che penso male di una
parte del mondo editoriale
italiano. Se così mi si concede di
eludere la questione. Non credo
che manchino i buoni narratori
nella penisola. Certo sì, spesso
le leggi di mercato, e non
scordiamolo, una grande miopia
nella domanda di narrativa,
rischiano di chiudere troppe porte
in faccia alle nuove leve.
• Nel 2004 hai pubblicato il
racconto “Osteria della mezzaluna”
sull’antologia “Dammi spazio”.
Sicuramente questa non è la prima
antologia manifesto (“Under 25”,
“Disertori”, “Gioventù Cannibale”,
“Anticorpi”, “Gli intemperanti”) e
non sarà l’ultima. Pensi che
queste antologie possano dare un
significativo contributo
letterario?
• Se curate bene sì. Come Dammi
Spazio e come l’ultima antologia
in cui mi sono imbarcato, Semi di
Fico d’India, edita da Nuova
Dimensione (2005) dove sono in
compagnia di autori del calibro di
Morozzi, Buonanno, La Gioia,
Mazzucato e tanti altri.
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